«Cosa comporta assistere al dolore degli altri attraverso la ripetuta rappresentazione che ne dà quotidianamente la televisione?
Ci troviamo di fronte ad un fenomeno ben noto in fisiologia: il fenomeno dell’abituazione. Più uno stimolo viene ripetuto e più chi lo percepisce vi si adegua, rimanendo progressivamente sempre più indifferente ad esso.
È un fenomeno adattativo. La violenza e il dolore ripetutamente mostrati, esibiti quasi, in tv, divengono sempre più banali, perdono sempre di più il loro potere di emozionare.
Allo stesso tempo certe parole, altrettanto quotidianamente diffuse in modo massiccio dai mezzi di comunicazione di massa, parole come ansia, bancarotta, catastrofe, clandestinità, collasso, crimine, crisi, declino, depressione, epidemia, fallimento, naufragio, paura, recessione, sangue, terrore, ecc. costruiscono giorno dopo giorno il nostro vocabolario durante la diurna veglia cosciente così come, verosimilmente, durante la notturna vita onirica. Queste parole colonizzano lentamente il nostro immaginario, connettendosi con le personali memorie implicite negative che riattivano, condizionando così la nostra percezione del reale.
Tutti questi effetti combinati – sia l’abituazione alla violenza e al dolore che la pervasiva perturbazione di emozioni negative che grazie ai media ci sovrasta – portano inevitabilmente ad una radicale riconfigurazione della nozione di identità soggettiva e ad una profonda modificazione dei sistemi valoriali, fino a condizionare i comportamenti dei singoli individui».